Quo­ta mi­ni­ma: un au­men­to non por­te­reb­be van­tag­gi agli as­si­cu­ra­ti

FocusArchivio15 Novembre 2017

Oggi gli assicuratori devono accreditare agli assicurati almeno il 90 percento dei ricavi che realizzano nella previdenza professionale. Un aumento della cosiddetta quota minima avrebbe conseguenze negative per tutti.

Se nella previdenza professionale gli assicuratori realizzano un'eccedenza, devono versare agli assicurati una quota prescritta dalla legge, la cosiddetta quota minima o legal quote. Si tratta di proventi da premi di rischio e di costo, nonché da investimenti di capitale. I premi di risparmio vengono accreditati al 100% agli assicurati.

Attualmente la quota minima ammonta al 90 percento. Ciò significa che agli assicurati spetta al massimo il 10 percento dei proventi determinanti. Nel progetto di riforma della previdenza per la vecchiaia 2020 il Consiglio federale ha proposto di aumentare la quota minima al 92 percento. Dopo che nel mese di settembre 2017 il Popolo svizzero ha rifiutato questa riforma, la proposta è stata accantonata. In un nuovo tentativo di sottoporre a una riforma la previdenza professionale, secondo l'ASA bisogna assolutamente rinunciare a una proposta di aumentare la quota minima.

L'assicurazione vita collettiva, e in particolare il modello dell'assicurazione completa, funziona soltanto se gli assicuratori possono coprire eventuali perdite con il capitale proprio. Negli anni positivi devono quindi realizzare utili sufficienti ad aumentare il capitale proprio e a provvedere per gli anni negativi. Un aumento della quota minima metterebbe in pericolo la stabilità del sistema. Soprattutto se si considera che la FINMA, con l'introduzione del Test svizzero di solvibilità, ha inasprito le richieste relative alla costituzione e al mantenimento del capitale di solvibilità.

Una quota minima più elevata non porterebbe alcun vantaggio agli assicurati. Sebbene quest'ultimi avrebbero un'ulteriore garanzia, per gli assicuratori ciò avrebbe come conseguenza un maggiore rischio di perdite e quindi un fabbisogno di capitale più alto. Gli assicuratori sarebbero obbligati ad adottare misure e dovrebbero optare per una strategia d'investimento più difensiva. Questo significherebbe a sua volta utili più bassi sugli investimenti. Una quota minima più elevata porterebbe perciò a eccedenze più basse. Gli assicurati avrebbero quindi una fetta un po' più grande di una torta più piccola.

Quale argomento a favore dell'aumento della quota minima al 92 percento si adduce il fatto che la reale quota media di distribuzione è poco superiore al 92 percento dall'introduzione della norma sulla quota minima. Ciò non tiene però conto del 2008, anno di crisi, durante il quale la quota di distribuzione si attestava a oltre il 100 percento. La distribuzione più elevata avviene volontariamente per garantire la concorrenza. L'assicuratore necessita tuttavia dello spazio di manovra per poter versare, negli anni negativi, anche solo l'importo minimo del 90 percento.